| Fonte: Butac.it. |
Da alcuni giorni mi arrivano segnalazioni di messaggi vocali, diffusi su WhatsApp e altri sistemi di messaggistica, che descrivono con indignazione una situazione di negligenza sanitaria diffusa e inquietante.
“Sai cosa mi ha raccontato mia mamma? Una che conosce è andata all’IKEA di Grancia e ha visto un suo collega che doveva essere a casa in isolamento perché positivo al Covid… le sono girati i c***ioni ed è andata in cassa ad avvisare che nel centro commerciale c’era in giro un positivo che lei conosceva. Alla cassa hanno fatto l’annuncio, dicendo che sapevano che c’era un positivo e che questa persona doveva presentarsi subito al centro informazioni, altrimenti ne avrebbero annunciato nome e cognome con gli altoparlanti e avrebbero avvisato le autorità. E così al centro informazioni si sono presentati in sette!”
Ho alterato varie parole rispetto all’originale, mantenendo però intatto il senso, e ho fatto rileggere il messaggio vocale a una voce sintetica per proteggere l’identità della persona che l’ha diffuso. E soprattutto vi ho risparmiato la pioggia di parole colorite rivolte alle sette persone che, secondo questo messaggio, si sono presentate al centro informazioni ammettendo la propria colpa.
La cosa strana è che circolano varie versioni di questo allarme, nelle quali cambia il luogo del misfatto (non solo Svizzera, ma anche Italia, Olanda, Austria) e cambia l’identità della persona che riconosce il positivo: a volte, per esempio, è un medico che riconosce un paziente, ma non può segnalarlo direttamente agli addetti del centro commerciale perché violerebbe la riservatezza del rapporto medico-paziente. Anche il numero dei positivi che confessano la propria violazione della regole è variabile: a volte sono cinque o otto o addirittura tredici. In alcuni casi l’annuncio fatto tramite gli altoparlanti causa un vero e proprio fuggi fuggi generale. E spesso l’allarme è stato pubblicato dai giornali, dandogli credibilità e ulteriore diffusione.
Ma la falsariga è sempre la stessa: qualcuno dice di aver saputo che qualcun altro ha riconosciuto una persona positiva al Covid in un centro commerciale e l’ha segnalata ai gestori del centro, che hanno fatto un annuncio pubblico che ha fatto emergere anche altre persone positive che si aggiravano nel centro commerciale, con conseguente scandalo e indignazione di chi racconta la notizia e con altrettanto conseguente inoltro del messaggio vocale a tutti i propri conoscenti.
Niente panico: questi messaggi non sono la dimostrazione di un comportamento diffuso e preoccupante. Sono invece un esempio classico di leggenda metropolitana: una storia non vera che nasce chissà dove e viene diffusa dal passaparola, facilitato dai social network, perché fa leva su una paura condivisa e sul gusto del racconto con finale grottesco.
Infatti in tutti i casi nei quali le autorità hanno effettuato controlli, l’allarme è risultato infondato e i direttori dei supermercati coinvolti lo hanno smentito espressamente, come raccontano con ampia documentazione l’esperta di leggende metropolitane Sofia Lincos sul sito del Centro per la raccolta delle voci e leggende contemporanee, Leggendemetropolitane.eu (anche qui), e i siti Bufale.net, Bufale un tanto al chilo (Butac.it) e Il Post. È vero che ci sono stati alcuni episodi di persone positive realmente sorprese in giro (per esempio ad Assisi), ma come dice Sofia Lincos,
…negli episodi reali manca […] la conclusione grottesca della scena, ossia il tratto tipico della nostra leggenda metropolitana. Una leggenda che […] gioca sull’indignazione per il cattivo comportamento, ma anche sul senso di giustizia (i “colpevoli” vengono scoperti e puniti) e, forse ancor di più, sul finale paradossale, da commedia.
Un altro elemento che distingue la leggenda metropolitana dalla notizia reale è che la fonte della vicenda è un amico di un conoscente che ha sentito raccontare la vicenda da un parente, insomma mai una fonte diretta e autorevole.
Se ricevete messaggi vocali di questo genere, non mandateli in giro: creano inutilmente indignazione, apprensione e allarme senza motivo. E le conseguenze possono essere pesanti: Leggendemetropolitane.eu segnala che chi ha diffuso questi allarmi è stato travolto da “decine di telefonate da parte di amici e conoscenti che gli chiedevano se fosse vero e se andare a fare la spesa fosse sicuro” con il risultato che “la sua vita era diventata un inferno”.


