Ha avuto un felice epilogo il paradossale processo intentato da Oracle a Google sul presunto utilizzo improprio di Java. Nello specifico, la società di Redwood Shores imputava a Mountain View di avere implementato in Android le proprie Application Programming Interface (API) senza pagare la dovuta licenza. La decisione del giudice è di grande importanza per l’open source: le API non sono protette dal Copyright Act – ovvero, la legge statunitense sul diritto d’autore – e perciò possono essere utilizzate liberamente. Da chiunque.
Era già noto la settimana scorsa il verdetto di proscioglimento nei confronti di Google, ma soltanto venerdì è stata depositata per intero la sentenza del giudice — non è appena «una vittoria per l’ecosistema di Android», riassumendo la reazione di Mountain View, perché la magistratura ha negato uno fra gli aspetti più insidiosi della brevettabilità del software. Dimostrando una minuziosa competenza, il giudice ha deliberato che l’utilizzo di intestazioni identiche a quelle delle API di Oracle è obbligatorio e più che legittimo.
La struttura di Java, infatti, prevede che per ottenere la stessa funzionalità siano dichiarate delle intestazioni identiche. Persino qualora il metodo o lo scopo siano differenti. Il codice di Google non viola la proprietà intellettuale di Oracle: scritto ex novo, non potrebbe essere diverso — utilizzando quello specifico linguaggio di programmazione. Il risultato pratico è che chiunque può integrare le API di Java, evitando di pagare una licenza a Oracle. Android è “salvo” e, in un certo senso, lo sono tutti gli sviluppatori.
Via | Groklaw
Il giudice ha chiuso la disputa fra Google e Oracle sulle API di Java é stato pubblicato su Ossblog.it alle 15:00 di domenica 03 giugno 2012. Leggete le condizioni di utilizzo del feed.